Cercherò di spiegarvi cosa ho capito e cosa ne penso (per sapere bene di cosa si tratta, ci sono i link di approfondimento in fondo a questo post)
Fashionrevolution è un movimento, una presa di coscienza, che vuole far raggiungere ai consumatori un maggiore grado di consapevolezza su dove, come, da chi e a che prezzo sono stati fatti i vestiti che comprano.
Ormai siamo abituati a vedere una tracciabilità delle origini e degli ingredienti dei prodotti alimentari, invece poco o nulla si sa delle origini e degli "ingredienti" dei nostri vestiti.
Ve ne parlo adesso perché la scorsa settimana è stata la Fashion Revolution Week, culminata nel giorno di chiusura 24 aprile, il fashionrevolutionday, giorno in cui si ricordano i morti sotto al crollo di una palazzina in Bangladesh dove le persone lavoravano in condizioni non etiche alla produzione di vestiti per il mercato occidentale.
L'ottica dell'abbigliamento che rispetti persone, ambiente, creatività e profitto in egual misura è davvero raggiungibile?
Io sono venuta a conoscenza di questo movimento grazie a Gaia Segattini, la mitica "Vendetta Uncinetta" che seguo su tutti i canali social, anche sulla new entry Snapchat (ehi, ci sono anche io su Snapchat, sono @living_barefoot). Lei si sta occupando tantissimo di questa questione e di abbigliamento etico e sostenibile, partecipando a convegni e condividendo per noi le notizie e le scoperte sulle catene di produzione di abbigliamento. Grazie Gaia!
Sotto al microscopio ci sono tutte le industrie di produzione dell'abbigliamento ma soprattutto le catene di "fast fashion", cioè quelle catene di negozi in cui un capo costa pochissimo e che ci invogliano a comprare compulsivamente perché "tanto costa poco", per poi magari indossare una sola volta o addirittura mai.
Troppo spesso, per far costare poco un capo di abbigliamento, i produttori delegano la produzione a chi la delega a sua volta e a sua volta ancora, finendo poi per far produrre a manodopera bassissima, in condizioni di sfruttamento socialmente ed eticamente non accettabili
Ci siamo mai chiesti come fa a costare così poco quel capo? Chi lo produce davvero? In che condizioni lavora... Con che materiali? I tessuti sono a contatto con la nostra pelle, e se fossero tossici? Ne vale davvero la pena, per noi e per le persone che sono sfruttate per i nostri sfizi?
Ad esempio io si, compro anche da catene di fast fashion. Il mio budget è spesso limitato, ma in pratica, quello che significa #fashionrevolution non è "compriamo solo cose costose" ma è compriamo in modo più consapevole e se vogliamo toglierci lo sfizio, che sia pensato e usato.
Se non lo usiamo vendiamolo, regaliamolo, scambiamolo o ricicliamolo ma non lasciamolo nell'armadio a prendere polvere. Diamo il valore a ciò che compriamo, sfruttiamolo il più possibile.
Magari invece di comprare 10 maglie economiche, compriamone 3 e con il resto dei soldi compriamo una maglia da un'artigiana oppure vintage che faremo durare nel tempo.
Ecco, senza saperlo, questo di far durare i vestiti lo faccio da una vita. Beh, ci credete se vi dico che questo maglione della Benetton ha più di 10 anni e lo indosso ancora? (nella foto l'ho messo apposta al contrario per far vedere l'etichetta).
Potete credermi, dal momento che ho chiamato questo mio angolo "vivereapiedinudi", dove non si butta niente e dove "lo scarto diventa prezioso". Questo è anche il motivo per cui ho voluto dedicare un post sul blog all'argomento.
Ormai esistono molti marchi di moda etica e sostenibile ma a prezzi accessibili, anche in Italia, e negozi di upcycling dei tessuti: per approfondire questo argomento, vi consiglio di leggere l'interessantissima intervista di Gaia Segattini a Marina Spadafora, coordinatrice del fashion revolution day in italia e direttrice creativa di Auteurs Du Monde, la linea di moda etica di Altromercato.
Hei Benetton, tu sai davvero chi ha fatto i miei vestiti? #whomademyclothes?
Insomma, questa del #fashionrevolution è davvero una grande occasione per fermarci a riflettere sul peso che il nostro stile di vita ha sul pianeta e sulle persone nel mondo.
La parola chiave secondo me è CONSAPEVOLEZZA, imbocchiamo la strada della presa di coscienza, con un occhio al portafoglio e uno al pianeta e alle persone. Non è necessario cambiare tutto subito, facciamolo un passo alla volta, io dico che si può!
Link utili: Fashionrevolution il sito
Fashionrevolution il sito in italiano e la pagina facebook italiana
Il sito di Gaia Segattini, "Vendetta Uncinetta"
L'articolo di Lucy Siegle su The Guardian a tema greenwashing
Gaia Segattini e la traduzione dell'articolo di Lucy Siegle su Guardian
un articolo che ho letto con molto interesse, che mi ha fatto nascere domande e che soprattutto capita a proposito, in tempi di cambio di stagione: quante decine di capi ho nell'armadio acquistato sull'onda dell'impulso e mai usati? Invece di buttare i capi che non uso nel secchione dell'indifferenziata, perché non provare a dar loro nuova vita o - al limite - regalarli? Post come il tuo hanno un grande pregio: fanno aumentare la CONSAPEVOLEZZA (e te pare poco?)
RispondiEliminaChe bello Claudia! Felice di aver dato un piccolo spunto :*
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